Solo 350Km separano Tabarka, all’estremo nord, dalla grande oasi di Tozeur. Eppure, lungo questi chilometri, il mondo cambia abito. Perché le foreste di sugherete e i boschi appenninici lasciano spazio, metro dopo metro, prima alla pianura, poi alla vastità delle sabbie e, infine, ad altre foreste, più rade. Di palme, questa volta.
La Tunisia, 165 mila kmq, 700 km nord-sud, 230 est-ovest, metà dell’ Italia, è , poliforme. Ci sono le cime della Tunisina, con i 1500 metri dello Djebel Chambi, e le dune del Grande Erg orientale, alte fino 400 metri. Ma le spiagge di Monastir e l’ incanto di Djerba, l’isola più grande del Nordafrica, immensa piscina dove si può fare il bagno tutto l’anno. Non a caso un detto popolare recita che a Sfax si lasci l’inverno, a Gabes si trovi la primavera, a Tozeur l’estate e a Djerba la quinta stagione. Difficile scegliere in tanta varietà di panorami.
Che in 3000 anni affascinarono più di un popolo. Di sicuro calamitò i Romani: che dopo aver raso al suolo Cartagine (Quart Hadasht, città nuova), la ricostruirono nuova di zecca, dando vita all’i mmenso latifondo dell’Africa Proconsolare, terminal delle vie carovaniere provenienti dall’interno. Nonché a uno dei più importanti siti archeologici al di là dal mare.
E altrettanto fu amata dagli Arabi, che dal nulla fondarono, nel mezzo del paese, la citta’ di Kairouan (Al Qayrawan, accampamento), prima città del Maghreb a diventare musulmana. Da qui si diffuse la dominazione araba nel Mediterraneo, fino all’Andalusia e alla Sicilia: impossibile non perdersi tra le stradine di questa città santa, la quarta dell’Islam, nella luce magica della medina, tra laboratori di tappeti e le mura della Grande Moschea, che tanto colpì Maupassant. Ma con calma, per almeno due giorni.
Lo stesso Maupassant non seppe resistere neanche al fascino bianco di Hammamet (da hamman, bagno) e alla sua spiaggia di 10 km, perfetta mezzaluna disegnata sull’acqua. In buona compagnia peraltro: visto che né Flaubert, né Wilde, né Churchill disdegnarono soggiornare in questa città giardino, avvolti dal profumo dei gelsomini, sorseggiando tè alla menta sotto le grandi ventole dei caffè. Certo, da allora qualcosa è cambiato e sciami di turisti ne invadono le vie 10 mesi l’anno, anche per via dei centri di talassoterapia ormai di fama mondiale.
Ma la douceur de vivre, la dolcezza di vivere tanto cara ai tunisini è rimasta intatta. Esattamente come a Sidi Bou Said, vera Portofino tunisina, da sempre buen retiro di artisti e intellettuali, abbarbicata nel bianco e nel blu su un promontorio del golfo di Tunisi. Dove la sera, in piccoli ristoranti di charme ricoperti di bouganville, è un piacere ritrovarsi. In una sorta di Dolce Vita nordafricana. Ma è il deserto, lo sterminato Erg, a colpire e soggiogare indelebilmente lo smaliziato viaggiatore occidentale.
Qui, dove il mare non esiste più e dove le dune sono le uniche onde a disfarsi di continuo, in un taglio netto sotto l’orizzonte che non ammette repliche, se non nei colori che si infiammano di porpora al tramonto. In un abbraccio che non smarrisce, ma rasserena. Gli stessi tunisini, del resto, quando ritornano a casa, ammettono di riappropriarsi di se stessi, sotto le stelle di Zaafrane o giù giù nel campo tendato di Ksar Ghilane.
Esperienza assolutamente da vivere, almeno una notte, nelle tende, tra i beduini che preparano cuscus ed agnello. Chissà, forse sarà possibile scorgere, magari con il piatto in mano, il tramonto dei due soli di Tataouine, il pianeta sabbioso di Guerre Stellari. Visto che George Lucas, nel 1977, fece partire la saga proprio da qui, dalla vicina Tataouine (al cui nome si ispirò) e dai suoi villaggi fortificati, gli antichi ksar berberi scavati della roccia.
E come non ricordare la casa del giovane Skywalker? Esiste davvero: visitare il vicino paese di argilla di Matmata per credere. E visitare, anzi, sostare obbligatoriamente in una delle tante oasi di questo deserto sconfinato: dove l’abilità di agronomi duecenteschi ha permesso di rubare, metro dopo metro, terra coltivabile all’Erg. “La natura ci ha regalato tante bellezze/ ha compiuto un miracolo raro/l’incontro dell’acqua e del sole”, scriveva il giovane poeta Abou Kacem Chebbi. Il mezzo milione di palme di Nefta, macchia verde ai margini dell’evanescente Chott el Jerid, sono uno dei frutti più grandi di questo incontro.
Articolo di Rossella Cerulli
Tags: deserto • djerba • hammamet • mediterraneo
Autore: Girando il Mondo
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